Gli alimenti e il consumo di acqua

Già da tempo si sente parlare di emissioni di CO2 equivalente legate al ciclo di vita dei prodotti. Il cosiddetto “carbon footprint”, o impronta di carbonio. Negli ultimi anni si inizia a parlare anche di consumo di acqua, il Water Footprint, che misura l’utilizzo di acqua dolce consumato per produrre un prodotto, sommando tutte le fasi della catena di produzione. Il termine “virtuale” si riferisce al fatto che la grande maggioranza dell’acqua utilizzata per realizzare il prodotto non è contenuta fisicamente nello stesso, ma è stata consumata durante l’intero ciclo di vita.

La metodologia impiegata per la misura dell’indicatore è stata elaborata dal Water Footprint Network, organizzazione no profit di riferimento che opera a livello internazionale per standardizzare il calcolo e l’utilizzo di questo indicatore di impatto. Il Water Footprint di un prodotto tuttavia è dato dalla somma di tre componenti alle quali corrisponde un diverso impatto sull’ambiente:

1. la green water: volume di acqua piovana evapotraspirata dal suolo e dalle piante coltivate;

2. la blue water: volume di acqua proveniente da corsi superficiali o falde sotterranee, impiegato lungo la filiera produttiva ma che non viene restituito al bacino di prelievo (include sia l’acqua di irrigazione che quella diprocesso

3. la grey water: volume di acqua eventualmente inquinata durante la produzione e misurato come il volume di acqua teoricamente richiesto per diluire gli inquinanti per riportare l’acqua stessa agli standard di qualità naturale.

Ovviamente nelle filiere agroalimentari, la voce più rilevante ma anche più complessa da valutare è la componente di green water, in quanto strettamente collegata alle condizioni climatiche locali e al tipo di specie coltivata e dalla sua resa produttiva. Pertanto è facile intuire che il valore di green water di un prodotto può cambiare molto, sia da regione a regione, sia da anno ad anno, senza che questo necessariamente significhi un diverso impatto sull’ambiente.

Per quanto riguarda l’impatto ambientale, l’approfondimento dei dati di utilizzo dell’acqua permette di mostrare come solo il 10%* dell’acqua necessaria a produrre un chilogrammo di carne venga effettivamente “consumata”: la restante quota (90%)* fa parte del naturale ciclo dell’acqua (green water), come acqua piovana.

“Per un alimento il contributo più rilevante nel calcolo della water footprint è fornito proprio dalla green water in quanto fonte rinnovabile e tra le più sostenibili – ha dichiarato Ettore Capri, Direttore del Centro di ricerca per lo sviluppo sostenibile (Opera – UCSC). – Quindi, per qualsiasi coltivazione agricola, comprese quelle finalizzate a produrre alimenti per animali, maggiore è il contributo di acqua piovana (green water) rispetto alle altre sorgenti idriche, minore sarà il valore di impronta idrica e quindi l’impatto ambientale, proprio come nel caso delle produzioni di carne. L’impiego di tecnologie avanzate di gestione dell’acqua (ad es. il recupero e la depurazione) e l’utilizzo di moderne tecniche di distribuzione in zone vocate all’attività zootecnica tipiche delle produzioni italiane, rendono le produzioni zootecniche tra le attività antropiche più sostenibili”.

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