15.500 litri di acqua per 1 kg di carne? L’Italia ne impiega il 25% in meno, di cui solo 1.495 litri consumati effettivamente

  • Rispetto alla media mondiale di 15.415 litri di acqua per 1 kg di carne bovina, l’Italia impiega 11.500 litri di acqua, di cui l’87% è costituito da “green water”, ovvero acqua proveniente da fonti rinnovabili.
  •  La quantità settimanale di carne bovina consigliata dai nutrizionisti nella dieta mediterranea (2 porzioni da 70-100 g.) comporta un consumo effettivo di circa 300 litri alla settimana.
  •  In generale, nei settori bovino, suino e avicolo solo il 10-20% dell’acqua impiegata nella produzione viene effettivamente “consumata”.

Essere al di sotto della media può essere anche un vantaggio: la produzione di carne in Italia, infatti è tra le più virtuose, presentando consumi idrici inferiori alla media internazionale. In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua Carni Sostenibili, iniziativa delle principali associazioni di categoria delle tre filiere italiane della carne – Assocarni, Assica, Unaitalia -, evidenzia i dati sul water footprint della produzione di carne in Italia, per illustrare in modo puntuale gli impatti ambientali del settore, a partire dalla produzione bovina.

“In merito agli impatti ambientali delle produzioni zootecniche è opportuno fare un po’ di chiarezza in quanto si leggono spesso dati fuorvianti che possono confondere il consumatore – ha dichiarato Ettore Capri, Direttore del Centro di ricerca per lo sviluppo sostenibile (Opera – UCSC). La quantità di acqua impiegata nella produzione di carne, che include anche il dato relativo alle coltivazioni agricole finalizzate a produrre alimenti per animali, è infatti costituita per la maggior parte da ‘green water’ (ovvero acqua piovana), fonte rinnovabile e tra le più sostenibili. L’acqua effettivamente consumata per produrre carne (“grey” e “blue” water) si riduce quindi a delle quantità nettamente inferiori rispetto al dato complessivo. Inoltre, l’impiego di tecnologie avanzate di gestione dell’acqua (ad es. il recupero e la depurazione) e di un suo corretto utilizzo durante la produzione agricola, contribuiscono a renderle più sostenibili”.

Il water footprint della produzione di carne bovina in Italia si attesta a 11.500[1] litri di acqua per produrre 1 kg di carne (il 25% in meno rispetto ai 15.415 della media mondiale), e solo il 13% (1.495 l) di questa viene effettivamente “consumato”. Il restante 87%, è quindi costituita da “green water”, ovvero l’acqua piovana impiegata nella coltivazione delle materie prime per l’alimentazione degli animali.

Considerando la quantità di carne bovina consigliata in una dieta equilibrata[2] (2 porzioni da 70- 100 g alla settimana), emerge che mangiare carne in giusta quantità non comporta un aumento significativo dell’impatto ambientale, arrivando ad un consumo effettivo di circa 300 litri di acqua alla settimana.

Le ragioni del minore volume di acqua impiegata nelle produzioni italiane, sono da ricercarsi nel sistema zootecnico nazionale che, essendo basato sulla combinazione di allevamenti estensivi ed intensivi,  permette di ottenere una buona efficienza in termini di risorse impiegate per kg di carne prodotta. Oltre a questo è da osservare come la produzione bovina italiana avvenga prevalentemente nelle zone più vocate e con la maggiore disponibilità di acqua (ad esempio lungo il fiume Po e dei suoi affluenti).

Il water footprint[3] è dato dalla somma di tre contributi in parte reali e in parte virtuali: l’acqua di evapotraspirazione utilizzata dalle piante per vivere (green water), l’acqua effettivamente utilizzata dai processi produttivi o per irrigare i campi (blue water) e l’acqua virtualmente necessaria a diluire e  depurare gli scarichi (grey water). Per i prodotti agroalimentari, la componente di “acqua verde” è di gran lunga la più significativa delle tre, arrivando a costituire la quasi totalità dell’impatto.

A livello complessivo l’intero settore delle carni ( bovino, avicolo e suino)  impiega per l’80-90% risorse idriche che fanno parte del naturale ciclo dell’acqua e che vengono restituite all’ambiente come l’acqua piovana; solo il 10-20% dell’acqua necessaria per produrre 1 kg di carne viene quindi effettivamente consumata .

[1] Mekonnen, M.M., Hoekstra, A.Y. The Green, Blue and Grey Water Footprint of Farm Animals and Animal Products. Value of Water Research Report Series no.48,UNESCO-IHE, Delft, the Netherlands, 2010

[2] Fonte CRA-NUT (oggi CREA)

[3] Secondo quanto stabilito dal Protocollo di rendicontazione messo a punto dal Water Footprint Network –  www.waterfootprint.org

impronta idrica carni

 

Gli alimenti e il consumo di acqua

Già da tempo si sente parlare di emissioni di CO2 equivalente legate al ciclo di vita dei prodotti. Il cosiddetto “carbon footprint”, o impronta di carbonio. Negli ultimi anni si inizia a parlare anche di consumo di acqua, il Water Footprint, che misura l’utilizzo di acqua dolce consumato per produrre un prodotto, sommando tutte le fasi della catena di produzione. Il termine “virtuale” si riferisce al fatto che la grande maggioranza dell’acqua utilizzata per realizzare il prodotto non è contenuta fisicamente nello stesso, ma è stata consumata durante l’intero ciclo di vita.

La metodologia impiegata per la misura dell’indicatore è stata elaborata dal Water Footprint Network, organizzazione no profit di riferimento che opera a livello internazionale per standardizzare il calcolo e l’utilizzo di questo indicatore di impatto. Il Water Footprint di un prodotto tuttavia è dato dalla somma di tre componenti alle quali corrisponde un diverso impatto sull’ambiente:

1. la green water: volume di acqua piovana evapotraspirata dal suolo e dalle piante coltivate;

2. la blue water: volume di acqua proveniente da corsi superficiali o falde sotterranee, impiegato lungo la filiera produttiva ma che non viene restituito al bacino di prelievo (include sia l’acqua di irrigazione che quella diprocesso

3. la grey water: volume di acqua eventualmente inquinata durante la produzione e misurato come il volume di acqua teoricamente richiesto per diluire gli inquinanti per riportare l’acqua stessa agli standard di qualità naturale.

Ovviamente nelle filiere agroalimentari, la voce più rilevante ma anche più complessa da valutare è la componente di green water, in quanto strettamente collegata alle condizioni climatiche locali e al tipo di specie coltivata e dalla sua resa produttiva. Pertanto è facile intuire che il valore di green water di un prodotto può cambiare molto, sia da regione a regione, sia da anno ad anno, senza che questo necessariamente significhi un diverso impatto sull’ambiente.

Per quanto riguarda l’impatto ambientale, l’approfondimento dei dati di utilizzo dell’acqua permette di mostrare come solo il 10%* dell’acqua necessaria a produrre un chilogrammo di carne venga effettivamente “consumata”: la restante quota (90%)* fa parte del naturale ciclo dell’acqua (green water), come acqua piovana.

“Per un alimento il contributo più rilevante nel calcolo della water footprint è fornito proprio dalla green water in quanto fonte rinnovabile e tra le più sostenibili – ha dichiarato Ettore Capri, Direttore del Centro di ricerca per lo sviluppo sostenibile (Opera – UCSC). – Quindi, per qualsiasi coltivazione agricola, comprese quelle finalizzate a produrre alimenti per animali, maggiore è il contributo di acqua piovana (green water) rispetto alle altre sorgenti idriche, minore sarà il valore di impronta idrica e quindi l’impatto ambientale, proprio come nel caso delle produzioni di carne. L’impiego di tecnologie avanzate di gestione dell’acqua (ad es. il recupero e la depurazione) e l’utilizzo di moderne tecniche di distribuzione in zone vocate all’attività zootecnica tipiche delle produzioni italiane, rendono le produzioni zootecniche tra le attività antropiche più sostenibili”.

Studio sull’impatto ambientale degli hamburger

Hamburger

Inalca, principale produttore italiano di hamburger, ha sviluppato il primo studio assoluto di tipo LCA (Life Cycle Assessment) per quantificare realmente gli impatti ambientali associati alla filiera di produzione degli hamburger.
Lo studio ha misurato specificatamente gli impatti e consumi degli hamburger costituiti dal 100% di carne bovina, ottenuti da animali appartenenti a razze da latte.
Lo studio è stato realizzato dalla società indipendente “Life Cycle Engineering” di Torino tenendo conto delle PCR – Product Category Rules pubblicate dall’International EPD® System a settembre 2012, che costituisce una delle metodiche di LCA più qualificate ed utilizzate a livello internazionale.

Innovazione, tecnologia, sicurezza alimentare e responsabilità sociale d’impresa, sono i punti cardine dell’attività di Inalca. Per esempio, nell’ambito della sostenibilità ambientale, Inalca autoproduce oltre il 50% del proprio fabbisogno energico tramite sistemi interni di cogenerazione industriale distribuiti nei principali stabilimenti produttivi. In aggiunta, lo stabilimento di Ospedaletto Lodigiano (LO) autoproduce circa il 18% del proprio fabbisogno di energia elettrica tramite un impianto di digestione anaerobica che utilizza come fonte rinnovabile solo scarti derivanti dai propri processi industriali.
Per migliorare ulteriormente i propri processi produttivi e limitare quanto più possibile l’impatto ambientale, Inalca ha sviluppato il primo studio assoluto di tipo LCA – Life Cycle Assessment – per quantificare gli impatti ambientali associati alla catena di filiera di produzione degli hamburger, con lo scopo finale di calcolare in modo realistico gli impatti ambientali degli hamburger prodotti da Inalca.
Lo studio è stato realizzato dalla società indipendente  “Life Cycle Engineering” di Torino.

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