Consumo medio di carne in Italia: il più equilibrato tra i Paesi Europei

Nel suo Comprehensive European food consumption database, l’EFSA ha raccolto informazioni provenienti da diverse indagini nazionali sui consumi alimentari di molti paesi europei: confrontando il dato medio italiano con quello rilevato altrove, risulta evidente come gli italiani siano collocabili agli ultimi posti della classifica dei consumi, i quali risultano inferiori di circa il 40% rispetto al consumo rilevato per i maggiori consumatori, principalmente i paesi dell’est europeo e la Spagna.

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Gli italiani e il consumo di carne

Per valutare l’ammontare dei consumi alimentari (e quindi anche di carne) da parte delle famiglie italiane e comprendere l’esatta natura dei cambiamenti in corso nella loro dieta, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MiPAAF) ha commissionato all’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) e SCAI un’indagine nazionale sui reali consumi alimentari delle famiglie in casa e fuori casa, condotta negli anni 2005-2006.

Lo studio è stato condotto su un campione casuale di italiani e ha coinvolto 1.329 famiglie distribuite sull’intero territorio per un totale di 3.323 soggetti da 0 a 97 anni (1.501 maschi e 1.822 femmine), divisi per fasce d’età e area geografica di appartenenza.

Valutando le registrazioni apportate dagli intervistati su un apposito diario alimentare, l’INRAN riferisce di un consumo medio di carne (inclusi derivati e frattaglie) da parte degli italiani (adulti) di 110 grammi pro capite al giorno (corrispondente quindi a poco più di 40 chilogrammi pro capite all’anno), una quantità peraltro ridotta del 20% rispetto alla precedente rilevazione dei consumi alimentari degli italiani del 1994-1996 (INN-CA).

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Riduzione degli sprechi: la filiera della carne la più virtuosa

La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) ha stimato che circa 1,3 miliardi di tonnellate annue di cibo potenzialmente disponibile per il consumo viene buttato, scartato durante le varie fasi della filiera alimentare, dalla coltivazione dei prodotti agricoli agli avanzi di cibo già cucinato.
Le quantità sprecate dipendono strettamente dal contesto territoriale, da aspetti culturali e anche dalla disponibilità di tecnologie efficienti lungo tutta la filiera.
Nel parlare di spreco alimentare, però, è bene fare una distinzione tra due fondamentali concetti, food losses (scarti) e food waste (rifiuti):
– il food losses è la massa di cibo commestibile che si “perde” all’interno della filiera produttiva, cioè durante le fasi di produzione agricola, movimentazione e stoccaggio, trasformazione e confezionamento degli alimenti;
– il food waste è la quantità di cibo che, invece, viene buttata via dopo essere stata immessa sul mercato, ovvero nelle fasi  di distribuzione e successivamente di consumo.

La produzione e il consumo di carne generano una quantità di scarti e rifiuti più che dimezzata rispetto a frutta e verdura e pari a quasi la metà dei rifiuti della filiera dei cereali.

La quantità di scarti generata all’interno della filiera produttiva della carne è inferiore rispetto alle altre categorie di alimenti considerate (cereali, radici e tuberi, frutta e verdure, pesce, latte) ed è seconda soltanto ai semi oleiferi e legumi.
Per quanto riguarda invece lo spreco domestico dei prodotti alimentari i più sprecati sono quelli di origine vegetale, i quali hanno anche un prezzo ‘contenuto’ (2 euro/kg al massimo); al contrario, ci si guarda dallo sprecare i prodotti di origine animale (carne, pesce, latte), indipendentemente dal loro prezzo.

Spreco alimentare

Nota tabella:
I prezzi indicati rappresentano la media matematica dei prezzi di tutti i prodotti agro-alimentari per categoria di alimenti e disponibili al portale ministeriale www.smsconsumatori.it al momento della consultazione.

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